Istanbul

Racconta Orhan Pamuk di aver vissuto fin dalla più tenera età nella convinzione che in un altro luogo di Istanbul abitasse un bambino identico a lui, un altro Orhan. Così, come in un gioco di specchi, Istanbul guarda verso l’Europa alla ricerca della città invisibile libera dalla miseria, tristezza e decadenza, forse una città che conservando un’identità orientale racchiuda qualità e successi dell’invidiato Occidente.
Tutto, nella città fantastica di Pamuk, si raddoppia: perfino lo sguardo che gli abitanti del Corno d’Oro gettano sulla propria vita cerca conferme e smentite nello sguardo giudicante degli occidentali, dai turisti ai grandi viaggiatori ottocenteschi, come Nerval, Gautier e Flaubert, affascinati e abbagliati dai miraggi dell’esotismo.
La tristezza che domina Istanbul, lo hüzün, che Pamuk descrive con geniale passione classificatoria, è una «condizione della mente che la città ha assimilato con orgoglio» e ha infinite forme e sfumature. Nasce dal declino dell’impero ottomano, dai sogni delusi di grandezza della Turchia moderna, dalle antiche rovine che le case hanno inglobato senza cancellare, dal legno delle vecchie costruzioni che si annerisce per l’umidità e il freddo. E si nutre di innumerevoli dettagli: le sirene dei battelli che urlano nella nebbia, i gabbiani immobili sotto la pioggia, i cantanti di terza classe che imitano le popstar americane e turche, e persino «le folle di uomini della mia infanzia, che tornavano a casa fumandosi una sigaretta dopo aver assistito a una delle partite di calcio della nazionale, sempre pesantemente sconfitta».
Tristezza che è bellezza, come scriveva Ahmet Rasim, uno dei numi tutelari della città di Pamuk. Gli scrittori non si stancano di cantare questa magia malinconica, forse per il senso di colpa di aver preferito la comodità moderna di un’Istanbul ormai occidentalizzata. La città che Pamuk continua ad amare resta quella della sua infanzia, «una fotografia in bianco e nero». Perciò i vecchi film e i disegni a chiaroscuro sono gli strumenti insieme più fedeli ed evocativi per rappresentarla (e il giovane Orhan, prima di decidere di fare lo scrittore, accarezzò a lungo l’idea di dipingere). Come la Recherche di Proust si può, volendo, riassumere in una frase («Marcel diventa scrittore»), così in Pamuk il destino di una città diventa il carattere del suo narratore. In questo senso, Istanbul è la storia di una vocazione.

Collana Supercoralli

LA STRANEZZA CHE HO NELLA TESTA

Collana Supercoralli

 

Einaudi, 2015

 

Un ragazzo ama una ragazza. Tutte le storie, anche quelle piú complicate, nascono da questa semplice, universale premessa. Mevlut l’ha incontrata una sola volta: i loro sguardi si sono incrociati di sfuggita al matrimonio di un parente a Istanbul. Eppure è bastato quell’attimo di perfezione e felicità a farlo innamorare. Süleyman, il cugino, gli ha detto che delle tre figlie di Abdurrahman, quella che ha visto Mevlut, quella di cui si è innamorato, è senz’altro Rayiha. Da allora non l’ha piú rivista ma, per tre anni, Mevlut le scrive le lettere piú appassionate che il suo cuore riesce a creare. Finché un giorno capisce che l’unico modo di coronare il suo sogno è scappare con Rayiha, di fatto rapendola dalla casa paterna in cui è rinchiusa. Cosí, una notte di tempesta, mentre Süleyman aspetta con un furgone in una strada poco lontana, Mevlut e la sua amata si riuniscono. Nulla potrà andare storto ora, nulla potrà piú dividerli, pensa lui. Poi un lampo illumina la scena e rivela il volto di Rayiha: quella non è la ragazza a cui Mevlut ha creduto di scrivere per tutto quel tempo, non è la ragazza di cui si è innamorato a prima vista tre anni prima! Chi ha ingannato Mevlut? E come si comporterà ora il nostro eroe? Questa è la sua storia, caro lettore: la storia di Mevlut Karataþ, venditore di boza (la bevanda, leggermente alcolica, tipica della Turchia), lavoratore indefesso, inguaribile ottimista (qualcuno direbbe ingenuo), sognatore, profondo conoscitore delle strade e dei vicoli di Istanbul. Perché questa è anche la storia di una città e del tempo che l’attraversa, una saga grandiosa e potente degli individui e delle famiglie che lottano, si alleano, si amano e si dividono per trovare il proprio posto nel mondo. Il premio Nobel Orhan Pamuk ha fatto della sua città, Istanbul, il personalissimo teatro in cui mettere in scena l’universale dei destini umani. Con La stranezza che ho nella testa ha saputo scrivere un romanzo rutilante in cui le storie piccole di uomini e donne comuni hanno la forza irresistibile della Storia di tutti.