Migrazione

di Milos Crnjanski 

Come i molti lettori che hanno scoperto e amato Crnjanski ricordano, la prima parte di Migrazioni – epos possente in cui si mescolano i destini di alcuni singoli e quelli di un intero popolo, i serbi – si chiudeva con il ritorno del nobile Vuk Isakovic dalla guerra, all’inizio dell’estate 1745: «E mentre nella sua anima, come in un cerchio infinito, ritornava sempre il pensiero di partire per qualche luogo, per la Russia, sulla quale, disperato, sfinito, dopo tanti mesi di vagabondaggio e di tribolazioni, si era fissato con la mente, nel suo corpo, addormentatosi per la prima volta di nuovo in casa sua, palpitava, come una stella, l’ultimo seme della sua ormai lontana giovinezza».
Siamo ora nell’anno 1752: il governo di Maria Teresa ha deciso la smobilitazione delle truppe serbe, che hanno lealmente combattuto al fianco degli eserciti austriaci, e quel sogno – raggiungere una nuova patria, una terra slava e ortodossa, la Russia – viene raccolto dal nipote adottivo di Vuk, Pavle Isakovic. Sarà lui a guidare il suo popolo attraverso le steppe, i fiumi, le foreste e i laghi dell’Est. Ma solo per scoprire che nulla è come doveva essere, e che la terra promessa non esiste.
Affresco immenso e rapinoso, poema di una diaspora e insieme di tutte le diaspore, di tutte le speranze e di tutti i paradisi perduti, cosmica visione dei nostri destini, Migrazioni cattura con il suo ritmo cupo, ampio, ossedente, confermandosi una delle prove più alte del romanzo moderno.
Migrazioni, l’opera centrale di Miloš Crnjanski (1893-1977), fu pubblicata fra il 1929 e il 1962. Migrazioni I è apparso presso Adelphi nel 1992.