Il tè del Cappellaio matto
di Pietro Citati
Distaccati dall’attualità dell’informazione bibliografica e dai giudizi di valore letterario, gli articoli si danno qui per quello che in fondo sono sempre stati: racconti che mettono in scena città sontuose dell’Egitto e del Messico, Costantinopoli e Micene, o personaggi di varie mitologie: Ulisse piangente al canto degli aedi, Pascoli e le sorelle, Dylan Thomas con la magliette verde da cricket e i calzoni alla zuava. Non diversamente procedeva nel comporre le sue “vite immaginarie” Marcel Schwob. Così, nel 1972, Italo Calvino metteva acutamente a fuoco la cifra di questa splendida raccolta che il tempo non ha intaccato. Né poteva essere altrimenti, giacché lo stesso titolo, preso a prestito da Lewis Carroll (“Adesso, sono sempre le sei del pomeriggio” dice il Cappellaio ad Alice), sembra alludere a un tempo negato, immobile: come osserva ancora Calvino, “Lo scrittore dal critico Citati come voce diretta del mondo viene assomigliando sempre di più allo scrittore che Citati è diventato nel frattempo, il bibliotecario visionario che esplora continenti sterminati nei margini di pagine già scritte”.