Il Solco (autoromanzo)
di Giuseppe Manfridi
Una biblioteca! Né più né meno! A volte mi ingegno a dominarne una parte e la sistemo, la organizzo, la ordino, e per un po’ in genere l’ordine resiste, ma poi il moto dell’insieme prevale e rimette tutto in circolo. Ora, ad esempio, potrei dirvi di un punto non troppo distante da dove sto seduto che dovrebbe corrispondere alla prima cantica dell’Inferno. Ci pensate? Mi basterebbe alzarmi, muovere due passi e allungare la mano (…) La libreria parla: in un passato che si è dato appuntamento nel presente col futuro, quando l’astronauta Cooper, librando in uno spazio assoluto, spierà, di lì dietro, la sua bimba dodicenne ricevere, anni prima, gli avvertimenti che, anni dopo, sarà lui a inviarle spingendo i libri giù dagli scaffali e illuminando fessure (…) Pensate se una qualsiasi, pur minuscola biblioteca, potesse esplodere ed espandere nello spazio tutti i suoi paesaggi materializzati, tutti i suoi nomi materializzati, tutte le sue descrizioni materializzate. Schianterebbe la stanza, poi la casa, e se ne riempirebbe la stratosfera. Neanche il cielo avrebbe capienza per una sola piccola biblioteca squadernata in piena luce, rigo per rigo, a meno che non si tratti di un cielo raccontato, allora sì.