I Racconti
Einaudi, 2016, 248 pagine, 19 euro
Negli anni Ottanta e Novanta quando usciva un libro di Daniele Del Giudice era un evento per critici e lettori, in Italia e all’estero, e ancora oggi per tanti scrittori stranieri (ad esempio McEwan e Carrère) rimane lui l’autore italiano con cui confrontarsi. Qui vengono raccolti tutti i suoi racconti usciti in volume e alcuni racconti meno noti, fra i quali due inediti. Se teniamo presente che la narrativa breve può essere considerata la quintessenza dell’idea di letteratura di Del Giudice, all’incrocio fra percezione e mistero, questo volume è una via naturale per rileggerlo e riconoscere appieno il fascino della sua scrittura.
Dalla prefazione di Tiziano Scarpa
C’è un’utopia malinconica nei racconti di Del Giudice. Si trova in una scena ricorrente: qualcuno comunica a qualcun altro la sua passione conoscitiva; e, nel farlo, trova nell’altro una rispondenza, una condivisione; suscita una curiosità viva, sincera. Di conseguenza, la relazione a due è la più vera, perché solo nelle relazioni a due si può fondare la fiducia necessaria per aprirsi a vicenda una soglia, e ospitarsi l’un l’altro. Ma questo tipo di fiducia – è la prima sorpresa che procurano questi racconti – non consiste nel comunicare una situazione interiore; al contrario, il suo contenuto è qualcosa di esterno. Non si fa una confidenza intima, non ci si racconta un segreto ma si descrive un oggetto, un mestiere, una caratteristica tecnica: i particolari di un quadro, la polvere, l’orecchio assoluto, la decomposizione, la lotta, l’architettura cimiteriale, le fortezze militari, le comete…Il rapporto fra due persone ha bisogno di una triangolazione: i loro sguardi debbono convergere su una cosa messa a fuoco in comune. È questa la scena primaria dei racconti di Del Giudice: ed è anche la loro scena ultima, perché lì convergono non solo gli sguardi e gli interessi cognitivi, ma soprattutto i desideri, le attrazioni, le destinazioni sognate dai protagonisti.