AMORE E OSTACOLI

 

Einaudi, 2014

 

Il narratore senza nome che unisce le varie tappe di questo singolare percorso di formazione è un adolescente sensibile e malmostoso che legge Rimbaud, scrive stucchevoli poesie e s’ingegna per trovare la volontaria cui affidare la sua verginità. Il viaggio che in Tutto intraprende verso la «città tentacolare, la città infinita» di Murska Sobota, investito della missione di acquistare un congelatore orizzontale e armato di un’unica pillola anticoncezionale da offrire alla prescelta, ha il pathos del rito di iniziazione. Ma gli ostacoli si rivelano maggiori dell’amore, e il protagonista ne sperimenta le conseguenze sulla propria pelle. Spesso l’assurdo e la violenza irrompono senza preavviso nel quotidiano. È il caso di Stairway to Heaven, dove la pittoresca figura del fanfarone Spinelli nasconde una tenebra degna dell’ambientazione conradiana con cui il racconto si apre; o di Commando americano, in cui i giochi di guerra infantili a Sarajevo, rievocati da un narratore ormai adulto, mostrano l’inconfondibile marchio dell’odio senza età e prefigurano il conflitto vero che di lí a qualche anno dilanierà quelle strade. Tanto piú virulento l’irrazionale, tanto piú affettuoso, per il narratore, il ritorno al domestico. C’è affilata comicità ma anche profonda tenerezza nel ritratto paterno di Le api, parte prima, o in quello della decrepita padrona di casa Pany Mayska in La camera di Szmura. Qui un narratore americanizzato guarda alle angherie cui lo psicopatico Szmura sottopone il suo conterraneo Bogdan con quel misto di partecipazione e distacco che è proprio di tutti gli scampati. Ma il prezzo dello scampare – la guerra, la miseria, la morte – è spesso il senso di colpa. Nel caso del narratore, partito dalla Bosnia appena prima dello scoppio della guerra, un’aura di fraudolenza impregna il rapporto con il mondo letterario di cui entra a far parte negli Stati Uniti. Complessa è la relazione che instaura con il poeta bosniaco Muhamed D., detto Dedo, in Il direttore d’orchestra, o con il Premio Pulitzer Richard Macalister di Le nobili verità del dolore. A lui la «persona» di Hemon regala l’accesso allo scantinato dei propri segreti famigliari, e a lui dona pure l’esempio piú esaltante di trasfigurazione narrativa in un finale che celebra il prodigio della grande scrittura.