Parla Renzo Rossellini

Roma città aperta

Parla Renzo Rossellini

 

Martedi 6 Maggio 2014

Lux Cinema, Viale Trento 1,  ore 10:00

 

Proiezione al “Nuovo” di Roma città aperta

Ma che colpo al cuore, quando su un liso cartellone… Mi avvicino, guardo il colore già d’un altro tempo, che ha il caldo viso ovale, dell’eroina, lo squallore eroico del povero, opaco manifesto. Subito entro: scosso da un interno clamore, deciso a tremare nel ricordo, a consumare la gloria del mio gesto. Entro nell’arena, all’ultimo spettacolo, senza vita, con grige persone, parenti, amici, sparsi sulle panche, persi nell’ombra in cerchi distinti e biancastri, nel fresco ricettacolo… Subito, alle prime inquadrature, mi travolge e rapisce… l’intermittence du coeur. Mi trovo nelle scure vie della memoria, nelle stanze misteriose dove l’uomo fisicamente è altro, e il passato lo bagna col suo pianto… Eppure, dal lungo uso fatto esperto, non perdo i fili: ecco… la Casilina, su cui tristemente si aprono le porte della città di Rossellini… ecco l’epico paesaggio neorealista, coi fili del telegrafo, i selciati, i pini, i muretti scrostati, la mistica folla perduta nel daffare quotidiano, le tetre forme della dominazione nazista… Quasi emblema, ormai, l’urlo della Magnani, sotto le ciocche disordinatamente assolute, risuona nelle disperate panoramiche, e nelle sue occhiate vive e mute si addensa il senso della tragedia. È lì che si dissolve e si mutila il presente, e assorda il canto degli aedi.

 

Da La religione Del mio tempo, 1961.
Pier Paolo Pasolini

 

 

La corsa di Anna Magnani, un braccio alzato, la voce che grida “Francesco, France- sco” e il corpo che cade sotto i colpi dei fucili nazisti sotto gli occhi del figlio è una delle più forti e strazianti sequenze del neorealismo e di tutto il cinema italiano. Roma città aperta, il capolavoro di Roberto Rossellini, girato tra il febbraio e il set- tembre del 1945, in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna con l’Istituto Luce e la Cineteca Nazionale. Un’occasione imperdibile per vedere o rivedere un film che ha se-gnato profondamente la storia del cinema rivoluzionandone completamente il linguag- gio. Oggi le tragiche vicende della popolana Pina (Anna Magnani) e di Don Pietro (Aldo Fabrizi, ispirato alle vere figure di Don Pappagallo e Don Morosini) tornano sul grande schermo in alta risoluzione grazie ad un lavoro sulla pellicola originale che fino al 2004 si considerava perduta e che invece è stata ritrovata negli archivi della Cineteca Nazionale.

 

Parla Renzo Rossellini

Ad un ragazzo che deve scegliere fra andare a vedere “Captain America” o il film di suo padre che cosa dice?

“Dico che vale la pena vedere il film di mio padre perché è come assistere ad una magia: restaurare un film è farlo tornare in vita e in questo caso restaurare un suo film è anche un po’ resuscitare Roberto Rossellini. Realizzare Roma città aperta è stato un atto eroico. Fare un film nella Roma dell’inverno del ‘45 è stato un grande atto di coraggio. Da un lato c’erano le difficoltà pratiche: reperire la pellicola, trovare dove girare il film e poi c’erano i problemi di natura politica. I problemi tecnici hanno fatto sì che mio padre reinventasse il modo di fare cinema”.

Della difficile lavorazione del film suo padre che cosa le ha raccontato?

“Indiscutibilmente ci sono state tante difficoltà, ma sono anche quelle che hanno fatto Roma città aperta il film che è. Era nato per essere un film ad episodi e aveva anche un altro titolo Storie di ieri, poi lo sceneggiatore Sergio Amidei convinse mio padre a mescolare le cinque storie intrecciandole in un film unico. Fino ad allora i film si giravano nei teatri di posa che però in quel momento erano occupati dagli sfollati e per questo il film si girò nelle strade con grande stupore dei passanti che li guardavano come si fa con gli animali da circo. E poi c’era il problema della pellicola, mio padre utilizzò della pellicola di scarto, rimasta ai fotografi che fotografavano le truppe di liberazione davanti al Colosseo. Questo tipo di pellicola finì per condizionare le riprese e di conseguenza fece nascere un linguaggio cinematografico nuovo, quello del neorealismo”.

Poi ci furono anche problemi politici

“Sì soprattutto con la censura, che era ancora la censura di epoca fascista. Chiesero di eliminare la scena finale del film quella in cui Don Pietro viene fucilato non capendo nul- la del film e di cosa stava rappresentando. Il film raccontava la fine eroica di un partigiano comunista e un parroco antifascista, era un modo che mio padre aveva pensato per ricucire, a livello simbolico, un paese lacerato dalla guerra civile. Poi è stato trovato una specie di compromesso trasformando l’ufficiale che fucilava il parroco da italiano a tedesco”.

Alla grandezza del film hanno contribuito sicuramente due interpreti stra- ordinari come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Che tipi erano nella realtà?

“L’incontro tra la Magnani e mio padre generò poi un amore che durò degli anni oltre a dar vita ad un personaggio straordinario, quello della popolana Pina. E Aldo Fabrizi, che io ho avuto modo di frequentare perché mio padre aveva mantenuto ottimi rapporti, era divertente come nei ruoli comici cui ci aveva abituato. Anche la Magnani era un’attrice di varietà, mio padre per entrambi è stato capace di riconoscere un talento e scommettere sul fatto che fossero capaci di realizzare un film drammatico, cosa che non avevano mai fatto prima”.

Cosa ci può raccontare del film a cui sta lavorando “Roma città aperta: gene- si di un capolavoro”?

“È un film documentario che ricostruisce la nascita del film attraverso le testimonianze dei protagonisti. Ho ritrovato un’intervista ad una televisione francese di Federico Fellini, che del film è stato sceneneggiatore e un po’ aiuto regista, poi dal mio archivio ho i racconti in video di mio padre e di Amidei della lavorazione. Ci sono poi le testimonianze di alcuni spettatori eccellenti, la prima volta che hanno visto il film Martin Scorsese o Ingrid Bergman”.

Lei è stato per più di dieci anni assistente alla regia di suo padre e poi ne è stato anche produttore. Che tipo di regista era?

“Era un regista molto docile, lui non inventava i problemi ma sempre le soluzioni ai problemi. Era facile lavorare con lui. Pochi mesi prima di morire mi ha scritto una lettera, una sorta di testamento spirituale in cui mi ha passato il testimone. Io però non me la sono sentita di portare a termine i suoi progetti incompiuti perché ho capito, facendo l’aiuto, che non sarei stato un buon regista, non avevo abbastanza talento”.

La lettera inizia così: “ho dedicato tutta la mia esistenza per tentare di fare del Cinema un’arte utile agli uomini”. Crede che pensava di esserci riuscito?

“Lui pensava di averci provato tutta la vita se ci sia riuscito lo dirà la storia. Lui non era completamente soddisfatto, avrebbe voluto fare molto di più”.

Secondo lei oggi ci sono registi che tentano di fare altrettanto, di fare del cinema un’arte utile agli uomini?

“Qualche volta mi sembra di vedere film molto rosselliniani nella cinematografia iraniana. In Italia, no, mi sembra che il nostro cinema sia soprattutto un cinema di evasione, di evasione dalle responsabilità. Mi arrivano tantissimi progetti ma la maggior parte delle sceneggiature che mi arrivano sembra che vengano da Marte, come se non vedessero nulla di ciò che li circonda. Vedo poca rabbia nei film italiani, un po’ di rabbia nei confronti di quello che si ha intorno fa sì che un artista riesca ad esprimersi. Ecco vorrei trovare film un po’ più arrabbiati”.

 

Renzo Rossellini

è il primogenito di Roberto Rossellini, regista italiano tra i più famosi e importanti, e Marcella De Marchis, costumista. Nel 1962 ha girato uno degli episodi del film collettivo L’amore a vent’anni (con Shintarō Ishihara, Marcel Ophüls, François Truffaut e Andrzej Wajda, film nominato all’Orso d’oro del Festival di Berlino) e poi alcuni documentari da regista (Il mondo sulle spiagge (1962), L’età del ferro (1964), La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza (1970), The World Population (1974). Nello stesso periodo risulta an- che tra gli autori di altri film di taglio documentaristico e sociologico. Nel 1975 fonda Radio Città Futura, una delle principali radio libere italiane.

Collabora ancora con il padre in ruoli più importanti per le sue produ- zioni televisive fino al 1977.

Durante questo periodo produce e distribuisce più di 100 film, co-minciando da Prova d’orchestra (1978) di Federico Fellini (con il quale affrontò La città delle donne due anni dopo, e la ancora più impegna-tiva realizzazione di E la nave va nel 1983), includendo Dimenticare Venezia di Franco Brusati, Chiedo asilo di Marco Ferreri, Don Giovanni di Joseph Losey, La morte in diretta di Bertrand Tavernier, Sogni d’o- ro di Nanni Moretti, Tre fratelli di Francesco Rosi (e nel 1984 la sua Carmen), La pelle di Liliana Cavani, Fitzcarraldo di Werner Herzog, Il marchese del Grillo di Mario Monicelli, Fanny e Alexander by Ingmar Bergman, La nuit de Varennes di Ettore Scola, Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni, Scherzo del destino in agguato die-tro l’angolo come un brigante da strada di Lina Wertmüller, Danton di Andrzej Wajda, Colpire al cuore di Gianni Amelio, Nostalghia di Andrei Tarkovskij, La casa del tappeto giallo di Carlo Lizzani, Enrico IV di Mar- co Bellocchio e molti altri.

 

Rossellini, Roberto.

Regista (Roma 1906 – ivi 1977), fratello di Renzo. Esordì nella regia di film a soggetto, dapprima collaborando con F. De Robertis a La nave bianca (1941), poi dirigendo film di guer- ra (Un pilota ritorna, 1942; L’uomo della croce, 1943). Nel dopoguerra diresse il film che impose al mondo il neorealismo italiano e gli me- ritò la qualifica di caposcuola di questa corrente: Roma città aperta (1945), cui seguirono Paisà (1946) e Germania, anno zero (1947). Dopo Amore (1948) e La macchina ammazza-cattivi (1948-49), di- resse Stromboli, terra di Dio (1950), Europa ‘51 (1951), Viaggio in Ita- lia (1954), Paura (1955), interpretati da Ingrid Bergman, da lui sposata nel 1950 e da cui divorziò nel 1958; e successivamente India (1958), Il generale della Rovere (1959), Era notte a Roma (1960), Viva l’Italia (1961), Vanina Vanini (1961), Anima nera (1962), Il messia (1975). R. si colloca fra i principali maestri del cinema contemporaneo: il suo uso del linguaggio del cinema come strumento di conoscenza, la moralità del suo umanesimo, che si riflette in uno sguardo diretto, partecipe e privo di formalismi, sono stati fra l’altro un importante punto di rife- rimento della nouvelle vague francese e del nuovo cinema dei paesi dell’Est. Il suo desiderio di sperimentare rinnovandosi continuamente lo ha portato a identificare nella televisione un importante mezzo di divulgazione culturale; soprattutto alla televisione si è infatti dedicato negli anni Sessanta e Settanta, realizzando un ambizioso programma di ricostruzione dell’avventura della civiltà umana; si ricordano: L’età del ferro (1964); La presa di potere di Luigi XIV (1966); Gli Atti degli Apostoli (1969); Socrate (1970); Agostino di Ippona (1971); Cartesius (1974)